Un uomo solo. Su di una nave, arenata nel ghiaccio di un fiordo della Groenlandia. Attorno il bianco, nelle sue migliaia di sfumature. Il vento soffia, in continuazione, rigido. La temperatura sfiora i -30. Ogni suo gesto è fatica. Una lotta contro gli elementi. Ma lui è tranquillo. È il modo di vivere che ha scelto. È il suo modo per trovare tranquillità. Ha un nome ma nessuno lo usa più da tempo. Le tre persone con cui ha ancora contatti sono la sua donna, con cui ha una relazione particolare, suo padre e un cacciatore inuit. Tutti e tre vivono in un piccolo villaggio a cinque ore di marcia, al di là del fiordo, al di là dell’isola solitaria dove ha deciso d’incagliarsi, al di là della banchisa. Loro, e la piccola comunità del villaggio, lo chiamano Qivittoq (uno spirito dal quale è meglio stare lontani). Febbraio di quest’anno. Lei ha un problema, ha bisogno di Lui. Lo cerca, disperata. Ma la banchisa per la prima volta dopo anni non regge e Lui non la può raggiungere. Lei si suicida. Lui impazzisce. Mentre il mondo discute sugli effetti della crisi climatica il loro mondo si è sciolto, sparendo.
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